Giuseppe Tornatore: 'Leningrad, il mio kolossal sugli invincibili'
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Giuseppe Tornatore: 'Leningrad, il mio kolossal sugli invincibili'

Era un sogno di Sergio Leone: un film sulla battaglia di Leningrado, durata tre anni, metafora della resistenza umana. Ora ci prova il regista premio Oscar con un cast stellare e le musiche di Morricone

Per mesi è stato fra opere d’arte e aste per girare La migliore offerta, sorpresa del periodo natalizio al botteghino che ha messo il sale sulla coda a I due soliti idioti, spinto da un inarrestabile passaparola. Ma in un angolo del suo essere (testa, cuore?) Giuseppe Tornatore non ha mai smesso di pensare alla Russia e alla sua magnifica ossessione che lo accompagna da anni: girare Leningrad. Il regista premio Oscar fa un primo bilancio, cauto: "Prima di Natale in Italia tutti davano per morto il cinema d’autore, divorato dalla commedia mangiatutto. La migliore offerta è un segnale di speranza, pare ci sia ancora un pubblico non omologato che desidera prodotti diversi" (il film infatti è stato venduto in tutto il mondo e in Italia ha sfiorato i 9 milioni di euro di incasso). Leningrad è dunque ora in piena preproduzione.

Lo conferma il regista di Nuovo cinema Paradiso a Panorama: un kolossal da 100 milioni di dollari sul drammatico assedio della città sovietica da parte dei nazisti, progetto monstre a cui stava lavorando Sergio Leone al momento della morte e poi ripreso due volte, con altrettanti inceppi, da Tornatore a partire dal 2004. Per entrambi la prima fonte è il libro I 900 giorni di Harrison Salisbury, pubblicato nel 1969 (e diffuso in Russia solo dopo la caduta del Muro), intenso reportage di quei giorni, dall’8 settembre 1941 al 27 gennaio 1944, in cui morirono di fame e di freddo 1 milione di leningradesi, circa metà della popolazione. "Secondo i calcoli di Adolf Hitler, che aveva già fissato i festeggiamenti per la capitolazione all’Hotel Astoria di Leningrado per il 9 agosto 1942, in tre mesi sarebbero stati tutti sterminati. E invece hanno resistito tre anni, anche se le scorte di viveri della città isolata bastavano per soli 30 giorni. Questa vicenda è più che mai attuale, una grandiosa metafora della contemporaneità. L’intero pianeta oggi è un’immensa Leningrado assediata dal nemico, terrorismo, recessione, fondamentalismi, conflitti, e incapace di intravedere un futuro certo. Ma deve resistere".

Il lavoro sul film prevede qualche slalom, evidente nelle parole del regista. "Con il produttore americano Avi Lerner abbiamo trovato l’accordo su alcune modifiche alla sceneggiatura per renderla, per quanto possibile, meno tragica e cupa. Nonostante quel che si è scritto, il soggetto è totalmente mio, non è mai esistita una sceneggiatura di Leone. Sergio non l’ha mai scritta benché fosse a un passo dall’accordo con i russi. Esistono due paginette con l’incipit del film, un folle piano sequenza da fare tremare i polsi a qualsiasi regista: dal primo piano sulle mani di Dmitri Shostakovich intento a comporre la Settima sinfonia in pieno assedio, l’inquadratura, senza stacchi, si allarga alla strada, al movimento di volontari che salgono sui bus, raggiungono i soldati russi e le trincee alle porte di Leningrado, e da lì una panoramica aerea sulla steppa infinita arriva a inquadrare mille carri armati tedeschi. Inizio magnifico, e quello che era un sogno megalomane al tempo di Leone oggi è quasi realizzabile, con le nuove tecnologie mi bastano 30 panzer per mostrarne mille sullo schermo. Dovrei girare nei dintorni di San Pietroburgo e negli studios di Lerner in Bulgaria, più economici, perché una storia di guerra dove non sventola nessuna bandiera a stelle e strisce resta difficile da far digerire ai produttori americani".

Leone, accorto, aveva introdotto nel plot il cinereporter americano che rimane intrappolato nell’assedio e s’innamora di una ragazza russa. "Io ho scelto il realismo e la presenza di uno straniero durante l’assedio era assolutamente improbabile. I miei attori saranno star internazionali per ovvie ragioni di mercato, però nel ruolo di sovietici. La storia d’amore invece c’è, perché senza non si girano film".

Molti siti danno Al Pacino nel cast, ma Tornatore smentisce: "Solo un amico, ci vediamo a cena a New York o all’Antica Pesa a Roma. Qualcuno ci ha ricamato sopra".

Un film attesissimo, ma che ancora spaventa per le dimensioni. Che cosa induce Tornatore a riprovarci nel bel mezzo della crisi economica? "Chiariamo: o fra due mesi sarò al lavoro oppure stavolta rinuncerò per sempre. In ogni caso pubblicherò la sceneggiatura in forma di romanzo, ho passato quasi quattro anni a leggere e rivedere documenti, film, ho fatto sopralluoghi, incontrato i sopravvissuti, a un certo punto avevo alle dipendenze 22 traduttori dal russo. Ennio Morricone ha già composto cinque o sei temi musicali. Buttare tutto sarebbe un delitto. Fino al libro di Salisbury non esistevano quasi testimonianze, Stalin aveva cercato di cancellare la memoria dell’assedio perché alla storia doveva passare la vittoriosa battaglia di Stalingrado, mentre la resistenza eroica dei leningradesi metteva troppo in ombra il suo nome e il ruolo del partito. Racconterò senza censure la fame, l’avanzare del gelo, meno 30, man mano che finivano energia e riscaldamento, i cadaveri abbandonati ogni mattina e buttati come spazzatura, 97 mila morti solo nel terribile gennaio del 1942. La gente staccava la carta da parati per usare la colla come farina, cuoceva il cuoio per renderlo commestibile e oggi sappiamo che il cannibalismo era diventato consuetudine. Ma il mio non sarà solo un viaggio di infinito orrore, a colpirmi è stato soprattutto il violento desiderio di sopravvivere a tutti i costi. Nella capitale culturale e artistica dell’ex Urss, durante l’assedio, i cittadini hanno continuato a organizzare concerti e mostre, a tenere aperti i teatri, girare film, proteggere i tesori dell’Ermitage. Facevano tutto questo mentre morivano, il che li rendeva imbattibili, mentre il nemico, rifocillato, pensava solo a sparare. Con la cultura non si mangia, come piace dire a qualcuno, ma si sopravvive. Tenendo viva, e alta, la testa".

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Piera Detassis