Franco Franchi, moriva 20 anni fa un genio (quasi) incompreso
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Franco Franchi, moriva 20 anni fa un genio (quasi) incompreso

Il grande comico siciliano è scomparso il 9 dicembre 1992: nella sua carriera ha girato oltre 120 film, spesso in coppia con Ciccio Ingrassia. Adorato dal pubblico, è stato snobbato a lungo dalla critica, ma poi ha avuto la sua rivincita

Ha chiuso gli occhi appena vent'anni fa, ma il mondo e il cinema che rappresentava, di cui era stato un protagonista assoluto, sembrano lontani secoli e secoli. Nell'Italia del boom, aveva regalato buonumore a milioni di persone, quelle che costituivano la spina dorsale di un Paese abbastanza sincero da ridere di gusto davanti a film di dubbio spessore, ma capaci comunque di esaltare un vero fuoriclasse: Franco Franchi.

L'attore palermitano è scomparso il 9 dicembre 1992: aveva solo 64 anni, ma gliene erano bastati meno della metà per diventare uno dei volti più popolari dello spettacolo italiano. Merito di una frenetica attività che, dopo anni di avanspettacolo e teatro, aveva trovato il terreno più fertile negli studi cinematografici: da solo o in coppia con il suo indimenticabile partner, Ciccio Ingrassia, ha girato oltre 120 film, a ritmi da operaio coreano. Nel 1964, per dire, ne ha ultimati ben 22, realizzando un incasso complessivo superiore ai 7 miliardi di lire, il 10 per cento del totale nazionale.

Si potrebbe parlare per ore di lui, della sua mimica facciale, della verve contagiosa e irreferenabile, del gusto per la parodia, scandito da pellicole come Ultimo tango a Zagarolo, L'esorciccio, Farfallon, Ku Fu? Dalla Sicilia con furore. Si potrebbe ricordare l'amarezza con cui, assieme al successo economico di ogni suo lavoro, constatava i giudizi quasi schifati che la critica puntualmente gli riservava. La stessa critica che, come già era accaduto con Totò e altri artisti, ha aspettato per cambiare idea che in difesa della vittima di turno si levasse una voce autorevole: nel caso di Franchi le voci sono state addirittura due: quelle di Ciprì e Maresco, i due caustici registi palermitani che nel 2004 hanno osato presentarsi al Festival di Venezia con il documentario Come inguaiammo il cinema italiano, un omaggio alla coppia Franco e Ciccio che ha definitivamente dissolto la cappa di sufficienza che aveva sempre circondato il lavoro dei due artisti.

Oggi però non m'interessa polemizzare: Franchi e Ingrassia erano due fuoriclasse, anche se molti loro film facevano pena. Porre come dogma solo la seconda parte, secondo me, è disonesto, ma pazienza. Quello che invece mi preme ricordare di Franco, vent'anni dopo, è la sua vita straordinaria, l'epopea di un un uomo per il quale recitare non ha significato vivere, ma sopravvivere. Nato in un quartiere popolare, in una famiglia poverissima con 13 figli, Francesco Benenato (era questo il suo vero nome) non riesce neppure a finire le elementari: deve andare a fare il muratore per dare una mano al bilancio familiare. Lui stesso raccontava che, quando i fratelli si distraevano, gli metteva molto sale sul cibo, così che quelli, disgustati, rinunciassero a mangiarlo. A quel punto ci pensava lui a spazzolare gli avanzi. Tra lavoretti saltuari e qualche piccolo furto, il giovane palermitano scopre di possedere una notevole vis comica, e cerca di ricavarci qualche soldo esibendosi in fiere e mercati. Notato dal musicista Salvatore Polara, entra nel suo gruppo e si ritaglia un più che dignitoso stipendio di 6 lire a settimana (siamo nel 1945).

L'incontro chiave della sua vita e della sua carriera risale a qualche anno più tardi, nel 1954, quando incrocia la strada di un collega più esperto e affermato, Ciccio Ingrassia. Erano anni di speranze e di fame, quando gli attori squattrinati si mettevano il lucido da scarpe sulle gambe per far credere al pubblico di indossare le calze. Sono una coppia perfetta e la loro prima gag, con Ciccio che canta Core 'ngrato mentre Franco lo disturba in ogni modo, ottiene un successo strepitoso e apre una storia destinata a durare quasi quarant'anni.

Ci vorrebbe  un'enciclopedia per raccontare i successi della coppia, le liti furibonde e le successive rappacificazioni, le memorabili incursioni televisive (straordinaria la loro interpretazione del Gatto e la Volpe nel Pinocchio di Luigi Comencini, trasmesso dalla Rai nel 1972) e l'approdo al cinema d'autore, che trova in Kaos dei fratelli Taviani (1984) il suo capitolo principale.

Di questo straordinario comico, che aveva tra i suoi estimatori anche Francis Ford Coppola e Robert De Niro (avevano visto un suo film durante le riprese in Sicilia del Padrino - Parte seconda, e se ne erano innamorati), mi ha sempre colpito l'orgoglio con cui rivendicava i suoi inizi faticosi, gli errori di gioventù (nel 1950 aveva trascorso anche una notte in guardina per un furto), la consapevolezza di essere amato dal pubblico e adorato dai bambini. E allora, come saluto e omaggio, ricordiamolo con uno degli aneddoti più spassosi della sua carriera.

Era il 1960, e un impresario aveva scritturato Franco e Ciccio per alcuni spettacoli a Genova e a Nizza. In Liguria andò tutto bene, ma una volta oltre confine si presentò in tutta la sua gravità un problema che la coppia aveva prudentemente evitato di rivelare al manager: nessuno dei due sapeva una parola di francese. Visto che il pubblico, dal canto suo, non capiva l'italiano, per evitare il linciaggio non restava che la mimica, arte nella quale Franco dava il meglio di sé. Morale della favola: applausi scroscianti e, la mattina dopo, una recensione più che positiva sul quotidiano locale. Il titolo, poi, era impagabile: "Nous avons ri, mais nous n'avons rien compris". Abbiamo riso, ma non abbiamo capito niente.

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Alberto Rivaroli