Caro Oliver Stone, la storia non si fa con i "se"
Illustrazione di Marco Calcinaro
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Caro Oliver Stone, la storia non si fa con i "se"

Un esperto americanista fa le pulci alla lettura dell'"ottimo regista" che in 10 dvd racconta i decenni trascorsi dal '45 a oggi. Dalla bomba atomica a Obama. Ma ammette: "La sua controstoria è utile"

La storia, come del resto la politica, non può essere affrontata impugnando la categoria morale. E, ancor meno, con la pretesa di raccontare la "verità" che contrasta con qualsiasi attendibile ricerca storiografica.Sono questi i due vizi del corso di storia televisiva sugli Stati Uniti del dopoguerra intitolati da Oliver Stone La storia mai raccontata, ora presentato in dieci dvd da Panorama.

Il peccato originale dell’America del Novecento sarebbe la bomba atomica sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945 – seguita da una seconda su Nagasaki – che produsse un centinaio di migliaia di vittime civili in seguito alle quali il Giappone si arrese agli americani. Finì così la più sanguinosa guerra della storia combattuta nel Pacifico e nel Sud-est asiatico, interamente occupato dalla potenza imperiale e militarista del Sol levante.
Intere biblioteche sono dedicate al dibattito tra storici per stabilire se quelle prime bombe atomiche siano davvero servite per porre fine a una guerra che poteva continuare ancora per molto tempo con il sacrificio di altre centinaia di migliaia di vittime americane e giapponesi, o se, invece, siano state soltanto una prova muscolare della nuova presidenza di Harry Truman (che aveva sostituito F.D. Roosevelt morto il 12 aprile 1945) per intimorire l’Unione Sovietica di Stalin e prevenirla dall’estendere la sua area di influenza su Giappone e Corea come aveva fatto con l’Europa orientale fino a Berlino.

La storia non può essere neppure affrontata con i "se" come sembra fare Oliver Stone: che sarebbe successo se le bombe non fossero state sganciate. Quel che si può affermare è che l’effetto degli inediti ordigni atomici fu non solo di fermare il Giappone, che non si sa fino a quando avrebbe combattuto, ma anche di produrre una specie di interdizione dei conflitti globali sulla base dell'"equilibrio del terrore", il timore cioè che un nuovo conflitto generale avrebbe potuto portare alla fine della stessa umanità.

Tutto questo può sembrare spaventoso, come spaventosi sono stati gli effetti delle bombe sganciate nel 1945, ma la storia dell’umanità, purtroppo, non si fa con i buoni sentimenti ma sui rapporti di forza che condizionano il sistema internazionale.

Nelle diverse puntate del corso di Oliver Stone (gli anni Cinquanta, John Fitzgerald Kennedy, il Vietnam, George W. Bush e Bill Clinton, il terrorismo), per raccontare la complessa vicenda americana di fronte al mondo, è molto usata la chiave interpretativa della contrapposizione tra "buoni" e "cattivi", tra presidenti dediti a opere di bene che hanno come prototipo John F. Kennedy e presidenti guerrafondai rappresentati simbolicamente da George W. Bush.
Qui non si mette in dubbio che alla Casa Bianca si siano alternate varie correnti di politica estera, più o meno interventiste o isolazioniste, più o meno fiduciose nello strumento militare, più o meno accondiscendenti alle manovre dei servizi segreti, ragione per cui la cosiddetta "moralità" in politica estera ha avuto varie interpretazioni.
Ma quel che trascura l’ottimo regista è che per mezzo secolo la politica estera americana è stata condizionata dalla contrapposizione con l’Unione Sovietica, l’altra superpotenza che direttamente o indirettamente attraverso i movimenti comunisti dei quattro continenti ha costantemente allargato la sua influenza.
Gli Stati Uniti, dopo avere praticato per oltre un secolo e mezzo una politica estera sostanzialmente circoscritta nel continente americano, con la vittoria decisiva nella Seconda guerra mondiale, hanno dovuto assumere il ruolo di prima potenza mondiale con le relative responsabilità di quello che si suole chiamare "l’ordine mondiale". Che, certo, è stato mantenuto anche con spregevoli iniziative, come quelle a cui si riferisce Stone tipo il sostegno alle dittature sanguinarie sudamericane, il tragico intervento in Vietnam e quello sbagliato in Iraq e altri analoghi episodi, ma proprio in base al criterio della storia ipotetica occorre chiedersi cosa sarebbe accaduto, anzitutto in Europa occidentale, se gli Stati Uniti non avessero assunto in prima persona quella responsabilità internazionale a cui tuttora fanno ricorso le nazioni in conflitto nelle aree in crisi.

La controstoria di Oliver Stone è certamente utile per vedere da un diverso angolo visuale le vicende degli Stati Uniti che hanno avuto un impatto sulla nostra vita, a condizione però che non siano assunte come verità assolute.

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Massimo Teodori