Un sapore di ruggine e ossa, Marion Cotillard al di là delle fatalità
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Un sapore di ruggine e ossa, Marion Cotillard al di là delle fatalità

Al cinema una storia di menomazione, amore e crescita. La regia è quella essenziale di Jacques Audiard, che riesce a tenersi lontano da sentimentalismi esasperati

Siete alla ricerca di una storia forte e drammatica - tanto drammatica -, piena di disgrazie - tante disgrazie - per sollecitare il vostro cuore (e stomaco)? Allora Un sapore di ruggine e ossa è quello che fa per voi (dal 4 ottobre al cinema). Con una Marion Cotillard una volta di più prisma dalle sfumature più autentiche e intense: è splendente pur nella sua menomazione, prima così difficile da guardare e digerire, infine "normale", com'è normale nella vita incassare e ricominciare.

Tratto dalla raccolta di racconti Ruggine e Ossa di Craig Davidson (pubblicata in Italia da Einaudi), il film è tante cose insieme, amalgamate con sapienza dalla mano franca e priva di tante impalcature del regista francese Jacques Audiard, già distintosi col successo europeo Il Profeta. È un affresco della violenza del mondo di catastrofe economica in cui viviamo, è un racconto di crude fatalità, è soprattutto e non in maniera scontata una storia d'amore.

Ali (Matthias Schoenaerts) è senza lavoro, senza soldi e senza casa e, tutt'a un tratto, si trova a doversi occupare di suo figlio Sam (Armand Verdure), un bimbo di cinque anni che conosce appena. Si rifugia dalla sorella Anna (Corinne Masiero) ad Antibes e lì sembra andare tutto meglio. La sorella li ospita nel garage, lo aiuta col bambino e a trovarsi un lavoro. Dopo una rissa in un locale notturno il destino di Ali si incrocia con quello di Stéphanie (Cotillard). Lui è un buttafuori appena tiratosi fuori dalla strada, lei è bella e molto sicura di sé.
Stéphanie addestra orche in un parco acquatico. Uno spettacolo però si tramuta in dramma e la vita di lei si trasforma per sempre. Ora sembra così indifesa, probabilmente meno avvenente, depressa, non più audace verso il futuro.
Quando Ali la rivede non sembra più una principessa, eppure con semplicità, senza compassione e senza pietà, la riaccompagna alla vita.

Audiard mantiene la sua cifra stilistica fatta di asciuttezza, pochi elementi essenziali, pur senza rinunciare a un sottile tocco romantico.
La tematica trattata è insidiosa e poteva farlo scivolare nel sentimentalismo patetico e melenso. Il cineasta francese invece non sbaglia.

Notevole anche l'interpretazione del belga Schoenaerts: il suo Ali è ruvido e di un'essenza primitiva tipicamente maschile, proprio per questo però anche delicato, come sa essere chi è senza sovrastrutture.
"Ti chiedo delicatezza e tu sai cos'è perché hai sempre usato delicatezza con me" gli dice Stéphanie/Cotillard.

Il finale forse lascia la sensazione di un eccesso di letizia e buona sorte. Ma, se come dice lo scrittore coreano Rando Kim il dolore facilita la crescita, dopo le tante disavventure patite che lietissimo fine sia.

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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