Piangere è un gesto di coraggio o di fragilità?

Piangere una volta era considerato un gesto femminile. Sembrava non dignitoso se l’avesse fatto un uomo. In pubblico era proibito per il genere maschile. Ci sono due estremi che dentro di noi fatichiamo a riconoscere, accettare ed abbiamo paura di …Leggi tutto

Piangere una volta era considerato un gesto femminile. Sembrava non dignitoso se l’avesse fatto un uomo. In pubblico era proibito per il genere maschile.

Ci sono due estremi che dentro di noi fatichiamo a riconoscere, accettare ed abbiamo paura di manifestare, confinandoli nell’ombra: la forza e la fragilità. Non sono due aspetti contrastanti, sarebbe sbagliato definirli così, sono due facce, due elementi che condividono la stessa natura. Sono degli estremi che a volte arrivano a coincidere, come per similitudine accade nel Tao della filosofia cinese.

Cambia e segna la differenza la diversa prevalenza, la prospettiva, il filtro in cui le si definisce. La fragilità è un valore umano. Quando si è più fragili e più vulnerabili, perché si è attraversato un periodo lungo di stress, in realtà il nostro corpo sta reagendo ed è un bene. Sta riacquistando una dimensione e una forza per assestare un equilibrio nuovo, spesso più appropriato. Il nostro corpo e la nostra mente si difendono dagli attacchi esterni.

L’uomo o la donna che piangono riescono fisiologicamente a buttare fuori il disagio. La fragilità accoglie, incoraggia alla comprensione. E’ un ponte per andare oltre. Mascherare, sopire, sopprimere un sentimento senza parlarne, senza sfogarsi, senza prendersi in giro, senza fare battute è frustante ed accumula tossine, indebolendo il nostro sistema immunitario. Combattiamo come fosse un contagio pestilenziale il coinvolgimento, ma in realtà ciò che dobbiamo temere, perché ci porta lontano da noi, ci fa perdere il nostro centro, è il farsi tra-volgere, non coin-volgere dal dolore. Camminando a fianco di un dolore evidente, lo porti per mano fuori da te. Resistere al pianto, alle urla alla disperazione è tenere dentro di te e questo fa implodere il disagio in un ambiente sbagliato: la nostra anima . L’anima di un uomo ha diritto di manifestarsi per guarire, per riparare. Cercando di farlo con dignità di comportamento, ma non l’annullamento.

Non cancelli non parlandone, ingoi e mandi più in basso un problema. Ma rimane lì e ogni tanto riaffiora. Se un uomo piange si libera. Colui che piange è coraggioso. Piangere è un atto di liberazione, di forza, non un gesto femminile. Evitare il coinvolgimento, non volerne parlare è andare contro natura, creandosi una corazza che fa male. E’ indossare un’armatura, qualcosa di artificiale. Non deve esistere la vergogna del pianto. E’ umano soffrire e piangere. Il contatto autentico con noi stessi e con chi amiamo veramente è la comprensione dello sfogo, non l’avvilimento , l’abbattimento o il rifiuto. E’ grande chi sa aiutare nel “delirio del disagio”. E’ forte perché usa il cuore, che deve essere illuminato nello sfogo, non represso. E’ un compromesso che ci deve dare forza per superare. Piangendo non siamo fragili, ma impariamo ad essere liberi di muoverci e di esprimerci con il nostro essere. Agli uomini è stato insegnato fin da piccoli di avere la corazza, di imparare a difendersi dagli altri, di essere carri armati, che schiacciano tutto, nulla rispettano e ancor meno vivono. Se al contrario, cominciassimo a vivere con la gioia delle cose belle che abbiamo, in cui crediamo, con riconoscenza, la predisposizione d’animo aiuterebbe ad imparare a dare e ricevere gratitudine, ad avere coraggio e responsabilità, a commettere meno errori.

Impareremmo ad affidarsi, che sconfigge il senso di vuoto, di solitudine, per aprirci ad un pensiero più maturo. Noi dobbiamo provare a sviluppare un percorso di individuazione di noi stessi e dei nostri credo più autentici, di realizzazione. Vittorino Andreoli nel suo libro“ uomo di vetro” premia la fragilità, come capacità di crescita, anche per rispondere meglio alle esigenze future e il pianto come sfogo fisico della nostra materia. Infatti fragile nella lingua italiana si usa per i materiali .  Un materiale che non è fragile è duttile nel vocabolario, ossia malleabile, capace di deformarsi sotto carico per poi potersi riprendere. Un uomo fragile può riprendersi cercando la parte coraggiosa e forte di questa parola liberandosi dei propri limiti, buttandoli fuori con il pianto?

Quindi, accettiamo un uomo che piange per un disagio vero, forte, inedito. Però, attenzione donne alle lacrime gratuite, facili e ripetitive.  Lasciate subito l’uomo da lacrime di coccodrillo.

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Susanna Messaggio