La forza dell'esempio
Matteo Durante
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La forza dell'esempio

Anche tu farai salti se mi vedrai saltare. E griderai se mi sentirai gridare e bacerai con trasporto se mi vedrai baciare mamma con passione

DIARIO DEI GIORNI DISPARI

15 aprile ’16 – E ora parli forte anche tu, Agnese. “Mamma, papà, Chico, ehi, questo, Bau-bau”, sono le tue parole più chiare. Che pronunci a voce alta. Per farti sentire in questa casa sempre un po’ troppo agitata. È l’esempio, Agnese mia. Quanta forza ha l’esempio! Ne vuoi uno?

Eccolo. Un giorno di molti autunni fa, tuo nonno (che parla poco ma giusto) mi ha portato a far castagne nel bosco vicino a casa. Era un sabato pomeriggio di fine ottobre, scurava prima. Sulla via del ritorno, carichi di castagne, mele selvatiche e qualche fungo. Era quell’ora che non è ancora sera ma non è già più pomeriggio, mettendo tutto in ombra. Ci si vedeva poco, soprattutto io che, accaldato e di corsa, avevo gli occhiali appannati. Seguivo papà da vicino, tanto da sentirne il respiro. Ero concentrato sui suoi movimenti, i suoi passi: avevo come riferimento le tre linee bianche che correvano lateralmente lungo i pantaloni della sua tuta.

Nessun rumore, intorno, solo quello delle foglie che si lamentavano sotto le nostre suole. E i nostri respiri. A un certo punto ci fermammo: “Adesso, al mio tre, Matte, salta. C’è acqua davanti a noi. Non dobbiamo finirci dentro”, mi disse mio padre. E mi sembrò di vederlo superare con un balzo un rigagnolo che ci si era messo di traverso. “Pronto? Uno, due, tre: vai”. E io saltai. Ma non riuscendo a calcolare le distanze, finii con entrambe le scarpe in acqua. Gelida. Al mio splash, il nonno rimase immobile poi, senza dire nulla, mi aiutò a uscire. Mi ero inzaccherato fino al polpaccio, le scarpe erano zuppe e i piedi ci nuotavano dentro. Temevo un rimprovero o un gesto stizzito. E invece. In silenzio, il nonno mi prese e mi caricò sulle spalle. Avevo 7 o 8 anni, non pesavo poi molto. Ero più affranto che bagnato. Mi sentivo una frana, un pasticcione. E in più avevo sporcato di acqua e fango la tuta comprata la settimana prima. Fu per quello che cominciai a piangere. Allora il nonno mi disse: “Non fare così, Matte. Non piangere. Non è colpa tua. La colpa è mia: tu hai messo i piedi dove li ho messi io. Ma, ancora, i miei passi sono più lunghi dei tuoi…”

Quanta forza ha (e dà) l’esempio. Tripla, rispetto alle parole. E rispetto al più appassionato e più vero e più profondo dei discorsi. Anche tu farai salti se mi vedrai saltare. E griderai se mi sentirai gridare e bacerai con trasporto se mi vedrai baciare mamma con passione. Abbraccerai con emozione se mi vedrai salutare con abbraccio un amico. Canterai se mi sentirai (suonare e) cantare. Amerai la lettura se ci vedrai con un libro in mano. E quindi, mi viene da dire, te ne andrai a vivere lontano da noi, un giorno. Come ho fatto io rispetto ai miei. (E questo sarà uno degli esempi che – un po’ egoisticamente – avrei voluto non darti. Forse).

 

La sera, prima di sederci a tavola per cena, ti prendo tra le braccia e ti faccio volteggiare. E tu, dopo qualche secondo di spavento, allarghi la bocca in un sorriso limpido, divertito, compiaciuto. Contagioso: fa ridere anche me. Forte. Come forte parlo, penso e canto. Tanto che spesso ti faccio sobbalzare. E allora ridi forte anche tu. Ecco, fallo anche da grande. Di gusto, di gola e di pancia. E fa nulla se gli altri ti guarderanno un po’ straniti. È che non ci si è più abituati. E poi a questo mondo non servono solo quelli che sanno farci ridere: servono anche quelle che ridono forte e danno l’esempio. Perché l’esempio è contagioso, proprio come una risata. E viene meglio se a farla si è in due.

 

E ora andiamo, seguimi, camminando con le tue gambette larghe e vienimi dietro. Dobbiamo andare a cantare una canzone alla mamma, ad abbracciare forte tuo fratello, a fare due coccole a Maia, a sentire i nonni di su e dirgli che ci mancano… E poi usciamo fuori, che il sole oggi la sua luce sembra la voglia gridare, e più che primavera sembra già piena estate. E noi seguiamo il suo esempio: gridiamo al mondo che siamo vivi.

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Matteo Durante

G. Matteo Durante è nato 40 e passa anni fa a Bergamo, ha studiato filosofia a Milano ed è un giornalista. Dopo aver lavorato a Panorama, dal 2012 vive in una delle più affascinanti città siciliane: Modica, in provincia di Ragusa. A chi gli chiede il perché di questa sua emigrazione al contrario, risponde così: "L'ho fatto per amore". Cioè: per amore di una vita più slow e per il desiderio di regalare a se stesso e alla propria famiglia il contatto diretto con la natura, con la bellezza e con la cultura millenaria del Sudest siciliano. Si occupa di contenuti web, siti, copywriting e social media, scrive reportage di matrimonio (sul suo sito www.spositelling.it), cura progetti socioculturali e si dedica ai suoi due figli: Filippo, il primogenito, e Agnese, la seconda arrivata. A lei è dedicato il "Diario dei giorni dispari" che, da papà innamorato, scrive dall'estate del 2015.

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