Briciole, biglie e sassolini
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Briciole, biglie e sassolini

E quella voglia di cose piccole, Agnese. Spero tu possa non soddisfarla mai. Perché sogno per te una vita di cose grandi. Ma anche di piccole cose che ti facciano grande la vita

DIARIO DEI GIORNI DISPARI

9 luglio ’16 – E quella voglia di cose piccole, Agnese. Spero tu possa non soddisfarla mai. Perché sogno per te una vita di cose grandi. Ma anche di piccole cose che ti facciano grande la vita. Come:
- le briciole di pane sul tavolo, dopo cena. A casa o al ristorante, con gli amici. Sparse, così, tra i bicchieri e le bottiglie. Sul bianco della tovaglia. A pochi centimetri dai tuoi polsi, a pochi istanti dai tuoi ieri. Non sono solo ciò che resta del pane condiviso: sono l’inizio di altri discorsi, spesso più veri, più generosi. Di quando cadono gli spaventi, le apparenze e le armature. Ci giocherai con le dita, le metterai in ordine, in fila, disegnando qualcosa. Le raccoglierai, lo so, con le unghie, mentre confesserai i tuoi sogni, condividerai le tue paure, ascolterai i pensieri di altri, accoglierai le loro gioie e comprenderai i loro timori. Le briciole. A metterle una dietro l’altra, sono le tappe di quella cosa immensa, tremenda e bella, che si chiama esistenza. Le briciole. Di pane. Sul tavolo, dopo cena.

- le biglie colorate, giocate in spiaggia, nel rosa del tramonto. Perché non c’è da smettere di giocare, anche quando si è cresciuti. Che il gioco è fatto della stessa grana di cui è fatta la vita: qualche regola e un po’ di genio. E ironia leggera e serio divertimento. E incontro e sfida. Perché ci vuole culo, con le biglie, biondina mia. E non solo per tracciare la pista, ma pure per farci correre dentro la tua pallina, il tuo nome, i tuoi giorni. Culo e precisione. Abilità e fortuna. Perché nel gioco, più che altrove, viene fuori ciò che si è e come si è cresciuti: pronti o pigri, onesti o bari, ambiziosi o rinunciatari, coraggiosi o temerari, sbruffoni o determinati. Le biglie. Giocate in spiaggia. Nell’ora rosata del tramonto.

- un sassolino rubato all’acqua e portato in tasca, ovunque andrai. Guarisce, protegge, fortifica, angioletto squeto. Raccontano che fu un anno di sassolini a salvare un intero popolo, qualche centinaio di fiabe fa. Un popolo di gnomi. Caduti tutti in preda alla febbre gialla. Quella dell’oro. Andavano scandagliando ogni fiume, ogni ruscello, ogni rigagnolo, ogni pozzo. Andavano. E non tornavano più. Non tornavano com’erano prima. Partivano fratelli, tornavano nemici. Per l’oro. Ingordi, incattiviti e avari, da semplici e giocondi che erano. Per l’oro. Tutti: un popolo intero. Tutti, tranne uno. Un folle, diverso, povero. Cantastorie e buono a nulla. Lui all’acqua rubava solo sassolini. Insignificanti, come lui: scuri e senza valore. Uno al giorno, ne pescava. Per un anno.
Al trecentosessantaquattresimo sasso salvato, fu un’ondina a parlare. Gli disse che ora avrebbe dovuto salvare la sua gente. Gli disse di usare quei sassi per guarirla dalla febbre. Gli disse di poggiarli sulla fronte di ciascuno. Lui obbedì. E andò, di notte, casa per casa. E a ogni gnomo che dormiva appoggiò un sassolino sulla testa. Prima dell’alba tornò al fiume, chiamò l’ondina e si fece regalare un ultimo sasso. Se lo sistemò in testa e si stese. Chiuse gli occhi e aspettò. Poi l’ondina crebbe, montò e uscì. Lambì e coprì ogni cosa, intorno. E ogni casa. Trasformandole in oro. Tutto, eh. Tutto, tranne gli gnomi con il sasso in fronte. Durò un giorno quel prodigio. Poi l’ondina si ritirò nel letto di fiume da cui s’era alzata. Gli gnomi, salvi per il miracolo di un sasso, per la bontà di un cantastorie, capirono. E smisero di cercare l’oro (ne erano circondati). E tornarono. Tornarono alla fratellanza da cui erano fuggiti. E a vivere felici come prima della febbre. E il cantastorie? Divenne il saggio del villaggio. Raccolse tutti i sassolini e li usò per disegnare, al centro della piazza, quello che era successo. La storia degli gnomi salvati e guariti da un anno di sassolini. Una storia da tramandare come mito e sogno, come monito e racconto.

Una storia rimasta impressa in ogni sasso rubato all’acqua. Che spero, bimba mia, vorrai portarti dietro, ovunque andrai. Come la voglia delle piccole cose, Agnese. Spero tu possa usare un sassolino per proteggerti. Dal desiderio di avere troppo e solo per te. O per non tradire la tua natura e riconoscere la tua pelle. Per imparare a farti levigare dal vento, senza smussare i tuoi angoli, ma permettendo che sia il tempo a farlo. Come fa con le cose piccole.

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Matteo Durante

G. Matteo Durante è nato 40 e passa anni fa a Bergamo, ha studiato filosofia a Milano ed è un giornalista. Dopo aver lavorato a Panorama, dal 2012 vive in una delle più affascinanti città siciliane: Modica, in provincia di Ragusa. A chi gli chiede il perché di questa sua emigrazione al contrario, risponde così: "L'ho fatto per amore". Cioè: per amore di una vita più slow e per il desiderio di regalare a se stesso e alla propria famiglia il contatto diretto con la natura, con la bellezza e con la cultura millenaria del Sudest siciliano. Si occupa di contenuti web, siti, copywriting e social media, scrive reportage di matrimonio (sul suo sito www.spositelling.it), cura progetti socioculturali e si dedica ai suoi due figli: Filippo, il primogenito, e Agnese, la seconda arrivata. A lei è dedicato il "Diario dei giorni dispari" che, da papà innamorato, scrive dall'estate del 2015.

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