Pani e ricorrenze

Io non lo sapevo, l’ho scoperto giusto qualche ora fa, ma oggi si celebrano due importanti ricorrenze: l’una è la giornata nazionale dei dialetti, l’altra la giornata mondiale del tiramisù. Entrambi questi ambiti mi interessano, devo dire, ed entrambi sarebbero …Leggi tutto

Io non lo sapevo, l’ho scoperto giusto qualche ora fa, ma oggi si celebrano due importanti ricorrenze: l’una è la giornata nazionale dei dialetti, l’altra la giornata mondiale del tiramisù. Entrambi questi ambiti mi interessano, devo dire, ed entrambi sarebbero totalmente nell’argomento e nello spirito di questo blog (di dialetto forse si è già parlato, e ne riparlerò in futuro; di tiramisù ancora no, ma non va dimenticata in ogni caso la sua origine triveneta).

Ma il 17 gennaio è soprattutto il giorno di Sant’Antonio Abate. Sant’Antonio Abate è quel santo di norma raffigurato vicino a un maiale, anche se forse, in vita sua, Sant’Antonio un maiale non l’ha visto mai, se non nelle tentazioni che il Demonio gli faceva balenare in qualche notte fredda e solitaria nel mezzo del deserto egizio. Sant’Antonio Abate visse e morì da eremita del deserto egiziano, come tanti prima e dopo di lui; da morto lo portarono prima ad Alessandria e poi a Costantinopoli. Il primo incontro con gli animali che avrebbe in seguito patrocinato lo ebbe solo verso il 1070, quando le sue spoglie furono traslate da Bisanzio al Delfinato, dove infuriava un’epidemia di afta; ebbene, l’arrivo del santo coincise con la fine del contagio. In seguito, certe confraternite ospedaliere consacrate alla cura di vari tipi di herpes (che già erano detti, forse per altri motivi, fuochi di Sant’Antonio) cominciarono ad allevare maiali, allo scopo di curare con il grasso suino le sofferenze dei malati. Questi maialetti scorrazzavano liberi nei villaggi francesi, muniti di apposita campanellina di riconoscimento: nessuno avrebbe d’altronde osato toccare una bestiola delle opere pie. E quella campanellina si ritrova pari pari nelle icone di oggi.

Ma non voglio fare un discorso agiografico, per il quale non ho neanche le necessarie competenze. Volevo dire che il 17 gennaio è una data che, io che sono di estrazione contadina, ricordo bene. Non tanto per la benedizione degli animali – non posseggo bestie e non vado a messa da tanto -, quanto per dei piccoli pani bianchi che vanno mangiati senza alcun companatico e che sono i pani benedetti (i pa’ de Sant’Anto’; così ci mettiamo anche la giornata del dialetto). Quel rito, ripetuto tante volte nei decenni e osservato senza ostentazione – non ho parenti particolarmente religiosi, d’altronde – ma con serietà, mi ha portato alla fine a credere che ci siano delle cose sacre, da rispettare comunque. E quel “sacre” non si riferisce alla benedizione, quanto al significato che hanno per la stalla e la famiglia, che in fondo per un contadino possono andare avanti bene solo insieme.

Può darsi perciò che nei prossimi anni e decenni, se anche – come penso – continuerò a non possedere bestie, tuttavia mi inventerò qualcosa per il 17 gennaio. Sono convinto, e spero non sia superstizione, bensì qualcosa di più elevato, che anche la mia famiglia e la mia stalla possano aver bisogno dell’immagine di un santo egiziano che non ha mai visto un maiale e di un panino bianco che si mangia possibilmente in un boccone.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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