Il ritorno di Bisanzio
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Il ritorno di Bisanzio

E se il XXI secolo fosse il (anzi, “un”; ché già ve n’è stata abbondanza a suo tempo) secolo bizantino? In fondo, è un’ipotesi non più improbabile di tante altre; ed è sicuramente, di tante altre, assai più auspicabile.
In fondo Bisanzio non è altro, in termini strettamente storici, che un’altra Europa; un’Europa che, per buoni motivi, ha smesso di evolversi; e non ha dunque seguito lo sviluppo dell’Europa occidentale, non ne ha percorso i cambiamenti e non ne ha mutuato le caratteristiche. Bisanzio rappresenta dunque, nella sua immobilità forzata, un modello diverso.
Com’è noto, ben prima della fine dell’Impero romano d’Oriente, le strade delle due Europe si erano biforcate: apparentemente su temi limitati e di poca importanza dottrinaria, in realtà per via di un’inconciliabile diversità. Da un lato c’era infatti l’Occidente, Roma, in cui la Chiesa aveva mantenuto centralità e potere, e soprattutto indipendenza (il che, per un paradosso più apparente che reale, garantiva indipendenza, e dunque anche potere e sovranità, anche al mondo laico); dall’altro l’Oriente, Costantinopoli, in cui tutto avveniva attraverso l’Imperatore, che era in se stesso Chiesa e Stato, e non poteva quindi essere laico. Né, d’altra parte, dovendo governare fatti e misfatti reali, poteva essere clericale; mistico, questo sì, ma clericale no. In questo sta la radice di una flessibilità necessaria che, col senno di poi, possiamo definire buonsenso. Di sicuro, finché è esistita, Bisanzio è stata sinonimo di autoritarismo; anche se all’epoca tutto era autoritario.
Un po’ perché cristallizzata nel passato ancora medievale, un po’ per la sua geografia, un po’ perché orientale e sconfitta nella lotta delle due Europe, Bisanzio è passata col tempo a significare un regime brutale ma ieratico, autoritario ma tumultuoso, complicato ma inefficiente; e intanto l’Europa occidentale, non più papale, poi non più cattolica, splendeva nella sua divisione dei poteri e nella sua meravigliosa razionalità. Tutto ciò che l’Europa faceva era scientifico, quindi non solo giusto, ma anche funzionale; e la miglior prova di ciò era la sottomissione del mondo intero a quella piccola penisola eurasiatica, o meglio alla sua parte occidentale.
L’Occidente faceva perché sapeva, non perché credeva; o almeno è stato così a lungo. Poi è venuto il Novecento, e lì qualcosa è andato storto, infatti, non a caso, l’Europa occidentale ha perso tanto di ciò che era. Poco male, però, perché anche senza Europa restava comunque l’Occidente, che non ha smesso di credere alle proprie ricette. E forse è il problema è stato proprio lì: nel crederci troppo, quando tutto era nato, di quella potenza, quando si era smesso di salmodiare, limitandosi (o quasi) a sperimentare e a osservare. Oggi, per uscire di metafora, l’Occidente crede fortemente ai diritti umani e all’esportazione della democrazia; un po’ per ovvi motivi, in quanto le missioni civilizzatrici e i fardelli dell’uomo bianco sono concetti non più sostenibili, ma molto anche perché non c’è nient’altro di pronto, sotto mano, in cui credere. E però non tutti credono, in Occidente, all’Occidente e alle sue ricette; paradossalmente, la Chiesa cattolica di Roma, da cui tutto è cominciato, non crede più. Che significa infatti un Papa argentino (!) che vola a Cuba (!!) per incontrarsi con un patriarca russo (!!!) e coordinare gli sforzi per il salvataggio dei cristiani d’Oriente? Che quel papa, all’Occidente, non ci crede più; che non crede che la democrazia, specie se insufflata a forza a gente e paesi che non l’hanno chiesta e non la vogliono in quelle forme, non sia altro che un nome bello per il dominio del più forte, che non è una cosa bella, e che in terra d’Oriente e per i cristiani ha un significato preciso e un eterno promemoria: e quel promemoria si chiama Turchia, un paese che era una volta ricco di storie, di diversità, di religioni e di cristiani. Poi è stato occidentalizzato, e dei cristiani, e d’altronde non solo di essi, sono rimaste le ossa. Il Papa queste cose le sa, essendo un Papa di un altro mondo e di altre storie, e si è avvicinato ai fratelli ortodossi, bizantini, che queste cose le sanno meglio e da più tempo.
Alcuni sciocchi hanno chiosato, vedendo un papa che abbracciava un patriarca russo, che la Chiesa di Roma si muoveva verso Mosca, o verso l’autoritarismo, o altre sciocchezze; ma in realtà quel papa è tornato a molto prima, a un Impero lontano in cui stato e religione non si sono mai divisi: a Bisanzio. E non è detto che non lo raggiungano altri, in un XXI secolo in cui non si vedono molte altre soluzioni.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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