Il postmodernismo in diplomazia

Una volta c’era il diritto internazionale, che era un tentativo certamente ipocrita e certamente imperfetto di regolare in maniera oggettiva ed esatta i rapporti fra Stati; somigliava, se uno ci pensa, al caro vecchio relativismo relativo, quello che andava …Leggi tutto

Una volta c’era il diritto internazionale, che era un tentativo certamente ipocrita e certamente imperfetto di regolare in maniera oggettiva ed esatta i rapporti fra Stati; somigliava, se uno ci pensa, al caro vecchio relativismo relativo, quello che andava di moda in Occidente nei secoli passati. Lo sapevamo tutti, per essere chiari, che 2 x 2 non faceva 3,9; ma ci pareva un risultato comunque accettabile, perlomeno migliore di 1,5 o di “seggiola”, e lo prendevamo per buono.

Poi è arrivata la politica estera umanitaria, pensata per il Bene. Solo che il Bene: 1) non è un concetto politico; 2) non è un concetto oggettivo. Ma spieghiamoci meglio. De facto, è stata rifiutata negli scorsi decenni la struttura giuridica esistente, la quale, benché non avesse pretese di esattezza, garantiva una misurabilità dei risultati; si è passati invece a una concezione che, al netto delle ambizioni sbandierate, è di fatto tutta interna al pensiero di chi la mette in pratica: ciò che si ricerca non è l’aderenza a una legalità, ma il perseguimento di ciò che è giusto e magari la punizione del cattivo. In pratica, tutto questo non significa altro che la conduzione di una politica arbitraria e priva di vincoli, dato che gli obiettivi ricercati esistono solo nella mente di chi li persegue e non hanno alcuna oggettività.

Le conseguenze di questa dinamica si vedono ad esempio nei recenti negoziati fra Serbia e Kosovo: in vari incontri avvenuti negli ultimi tempi, e volti alla definitiva sistemazione della situazione delle frontiere e delle residue minoranze serbe (con le loro enclave nel nord del Kosovo, di fatto autogovernate), si è avuta l’impressione netta che le proposte reciproche, ma soprattutto quelle serbe (sono i kosovari, adesso, ad avere il problema di garantire i proprȋ ed altrui diritti), sfuggano dal terreno comune della legalità internazionale rivendicando invece, anche astrattamente, il bene di quei gruppi che vogliono tutelare.

In buona parte, tale atteggiamento non è altro che tattica negoziale, vecchia come il mondo. In fondo ad essa, tuttavia, si intravede anche una piccola consapevolezza: quella, cioè, che restando fuori da un accordo si guadagna, forse, il tempo necessario a che tutto cambi. In assenza di regole, infatti, il Bene trionfante di volta in volta è solo quello sostenuto dalla parte più forte, e nulla vieta di sperare che questa un giorno muti; e con essa salga al potere un Bene tutto diverso.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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