Buzzati, la montagna e il deserto

Quando nasce Dino Buzzati, il 16 ottobre del 1906, le montagne sono le montagne e la borghesia è la borghesia. Lui, dato alla luce in una villa appena fuori Belluno, appartiene ad entrambi questi mondi; ma se le rocce delle …Leggi tutto

Quando nasce Dino Buzzati, il 16 ottobre del 1906, le montagne sono le montagne e la borghesia è la borghesia. Lui, dato alla luce in una villa appena fuori Belluno, appartiene ad entrambi questi mondi; ma se le rocce delle Dolomiti sono ancora punteggiate di elfi, di gatti mammoni, di lupi instancabili mangiatori di uomini, tutte creature che almeno di notte si manifestano alle ragazze sole e imprudenti e ai sognatori, la borghesia del 1906 è una pietra ben più dura. È una classe sociale scabra e inattaccabile, impossibile da scalare, senza sogni né porosità (ché sarebbero debolezze); una classe che ha fatto l’Italia e che da qualche anno prova perfino a governarla.

Dino Buzzati, per fortuna di tutti, è un sognatore, e vede e riconosce le bestie strane e magnifiche delle sue montagne; e quella immaginazione, quei miti inquietanti, quei richiami a qualcosa che ci è familiare ma che non riconosciamo, Buzzati li infila come tante formichine magiche nelle menti dei suoi lettori (è l’uomo che mette l’immaginazione dentro la borghesia). Ma è anche un montanaro e un vecchio borghese; come i borghesi e i montanari, è prudente, si muove a passi saldi e misurati, e – anche quando scrive e disegna le più grandi meraviglie – lo fa con il garbo con cui gli uomini di un tempo salutavano e omaggiavano le dame.

E le dame, poi: Dino Buzzati è un grande misogino e un grande amante delle donne, che teme e che adora. Forse è di nuovo la montagna, forse è ancora la borghesia, fatto sta che l’abbandono completo gli costa; l’amore di Buzzati è un amore cinto da corde, un amore in equilibrio su due funi fortissime, che si chiamano ironia e idealismo (le sue donne sono troppo particolari per essere vere, troppo belle per non essere prese in giro). E infatti, quando l’equilibrio si spezza, non è l’amore: è solo Un amore, immenso, ma che fa parte a sé.

Infine c’è l’Oriente. Dino Buzzati è un veneto, un orientale, dunque; più orientale ancora perché del Veneto profondo e ladino, roccioso e magico e quasi inesplorato. Però la sua classe sociale, la sua professione di giornalista, il suo amore per Milano, tutto ciò lo volge ad Occidente. Ma ad Oriente, alle lande sconosciute dei Tartari, alla terra dei draghi e dei messaggeri dispersi, lo spingono la sua fantasia e la sua indole, perché è da Oriente che arrivano tutti i mostri, tutti i miti, e anche l’unica salvezza. Ma a queste cose un borghese, anche se bellunese, anche se scrittore, non può pensare finché lavora (a Milano, poi).

Però Dino Buzzati non lavorerà per sempre e non vivrà per sempre. Un giorno busserà la fine alla sua fortezza, come per Giovanni Drogo, e come per lui non potrà che giungere da Est; e come Giovanni Drogo, chi può dirlo?, magari anche Buzzati avrà sorriso alla sua ultima ora, a quella violenza orientale – perché cieca, perché inspiegabile – che è la morte. E chissà se anche lui si sarà fatto rapire e riportare ad Oriente, da dove irraggiano tutti i mostri, tutta la paura, tutta la salvezza.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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