Nino non aver paura

In tempi di Europei (e di Mondiali, e di finali di Champions League, e di manifestazioni equipollenti) gran parte degli italiani riscopre la scaramanzia. Per dire, sono ancora convinto che nel 2006 vincemmo i Mondiali perché io e gli amici …Leggi tutto

In tempi di Europei (e di Mondiali, e di finali di Champions League, e di manifestazioni equipollenti) gran parte degli italiani riscopre la scaramanzia. Per dire, sono ancora convinto che nel 2006 vincemmo i Mondiali perché io e gli amici con i quali guardai quasi tutte le partite dell’Italia guidata da Cannavaro trovammo l’alchimia giusta: stesso luogo, stessi posti sul divano, stessi atti pima e dopo la partita. L’amico che ci ospitava si ritrovò poi per tutta l’estate a dover smaltire quantità industriali di patatine e birre solo perché io, in occasione della partita degli ottavi in cui battemmo l’Australia con un rigore di Totti all’ultimissimo minuto pur essendo rimasti in 10, ne avevo portate un bel po’ per sfamare e dissetare la truppa, e “rito che vince non si cambia”.

La religione, talvolta, sembra funzionare allo stesso modo: da millenni l’uomo prega, compie rituali e offre sacrifici per ottenere la pioggia o la sua cessazione, per vincere la battaglia o almeno per sopravvivere, perché la guerra finisca, per passare l’esame, per la guarigione propria o di persone care, per allontanare terremoti, carestie e altre calamità o anche per vincere al Superenalotto.

Due anni dopo quel Mondiale, nel 2008, si giocarono gli Europei e con i medesimi amici provai, nelle prime due partite, a ripetere tutta la sequenza apotropaica. Ottenemmo, come credo tutti ricordino, pessimi risultati. L’Italia vinse la terza partita con noi titubanti sul da farsi, infine perse nei quarti di finale ai rigori contro la Spagna e amen. La solidità dei nostri incantesimi scaramantici si rivelò nulla – come ovviamente da sempre sapevamo, al netto del desiderio di scherzarci sopra e divertirci un po’ – e li abbandonammo senza ulteriori pensieri.

È evidente che, talvolta, pure la preghiera o il rito religioso vanno incontro alla medesima disillusione, tanto più grave quanto più alta del risultato di una partita di calcio è la posta in gioco. Però è altrettanto evidente che, fin qui, all’umanità nel suo complesso non è ancora venuta l’idea di smettere di pregare. Da qualche parte ci sarà un perché.

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Marco Beccaria

Marco Beccaria è nato a Milano nel 1967. Sa fare passabilmente tre cose:  insegnare filosofia e storia al liceo, discutere oziosamente di massimi  sistemi e il master di Dungeons & Dragons. Meno bene riesce a  giocare a pallacanestro e ad andare in bicicletta, il che non gli  impedisce di trarre godimento da entrambe le attività. È sposato con  Raffaella e vive tra i colli piacentini e Milano.

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