La verità, vi prego, sul senso di colpa

Penso che questo post abbia bisogno di essere preceduto da un paio di disclaimer. Il primo: questo non è un post sull’aborto, sulla legge sull’aborto, sulla legittimità morale dell’aborto. Non lo è e non vuole esserlo. Un’altra volta, semmai. Il …Leggi tutto

Penso che questo post abbia bisogno di essere preceduto da un paio di disclaimer. Il primo: questo non è un post sull’aborto, sulla legge sull’aborto, sulla legittimità morale dell’aborto. Non lo è e non vuole esserlo. Un’altra volta, semmai. Il secondo: questa non è una recensione del libro di Chiara Lalli al quale mi sono ispirato per il titolo di questo post (peraltro, la Lalli s’è a sua volta ispirata a W. H. Auden) e dal quale traggo solo uno spunto e, forse, un pretesto. Se ne volete leggere qualcuna, avete l’imbarazzo della scelta, ce n’è per tutti i gusti.

Questo vorrebbe essere un post, diciamo così, filosofico. Fenomenologico, per la precisione. Contrariamente ai timori che, certamente, il cortese lettore starà già covando, non sarà – spero – un post lungo, né troppo complicato. Il suo oggetto è il senso di colpa.

Come scrivevo in tempi non sospetti, l’idea che il senso di colpa sia nient’altro che un costrutto culturale montato ad arte dal clero cattolico e che ce ne si possa liberare accedendo a una nuova e libera dimensione della propria umanità (che è un po’ quel che auspica la Lalli a proposito dell’aborto) è un’idea che mi pare un tantinello scema.

Intendiamoci: che il senso di colpa sia sempre anche un costrutto culturale è evidente. Il punto è che, constatato ciò, siamo daccapo. Tutto ciò che è umano è un costrutto culturale, e di conseguenza il fatto che qualcosa sia un costrutto culturale ancora non dice nulla del suo valore e della sua bontà o cattiveria. Ogni sentimento, ogni passione, ogni emozione sono anche culturalmente e socialmente determinati, perché noi stessi lo siamo in tutto ciò che siamo, e sentimenti ed emozioni hanno a che fare proprio con ciò che siamo.

Per spiegarmi meglio prendo a prestito le parole di una filosofa contemporanea, Martha Nussbaum, incidentalmente liberal e pro-choice. Nel suo Upheavals of Thoughtafferma che

«le emozioni sono valutazioni o giudizi di valore, che attribuiscono a cosa e a persone al di fuori del nostro controllo una grande importanza per la nostra prosperità (fluorishing). Essa continene così tre idee salienti: l’idea di una stima o valutazione cognitiva; l’idea della prosperità personale, o dei propri fini e progetti importanti; e l’idea della rilevanza di oggetti esterni come elementi del proprio insieme di fini

E poco più avanti:

«Un altro modo di esporre questa tesi […] è dire che le emozioni sembrano essere eudaimonistiche, ovvero concernenti il prosperare della persona. […] In una teoria etica eudaimonistica, la domanda centrale che la persona pone è: «Come deve vivere un essere umano?». La risposta alla domanda è la concezione che la persona ha dell’eudaimonia, o prosperità, di una vita umana completa. Una concezione dell’eudaimonia deve comprendere tutto ciò a cui l’agente attribuisce un valore intrinseco […].»

Il cardine della riflessione della Nussbaum riguarda la natura intenzionale delle emozioni, laddove l’aggettivo “intenzionale” indica la caratteristica fondamentale degli atti psichici di avere un contenuto oggettivo “verso cui tendere” (in-tendere). L’emozione, insomma, non è un semplice friccico o il darsi irrazionale e arazionale di stati biofisici del soggetto, ma ha una potenza cognitiva. L’emozione “vede” e “conosce” il mondo, e lo vede nella prospettiva del valore del mondo (di quella specifica parte di mondo che mi suscita l’emozione) per me, per la mia felicità e la mia “fioritura” come essere umano. A me pare che la Nussbaum abbia ragione e dica una cosa vera e saggia.

In conclusione, mi pare che se la proposta della Lalli (o di chi per lei) di eliminare il senso di colpa – si parli di aborto o di quel che si vuole – intende essere una revisione dei parametri sociali che hic et nunc lo inducono (ma poi: a chi? quando? a che condizioni? non sarà forse che tutte le libertà sono uguali e ogni senso di colpa è senso di colpa a modo suo?), abbia forse anche un senso parlarne. Se la prospettiva fosse, invece, quella di estirpare il senso di colpa in quanto tale, auguri alla Lalli e a tutti noi disgraziati che ci troviamo sulla sua strada, perché significherebbe estirpare una parte della nostra stessa umanità.

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Marco Beccaria

Marco Beccaria è nato a Milano nel 1967. Sa fare passabilmente tre cose:  insegnare filosofia e storia al liceo, discutere oziosamente di massimi  sistemi e il master di Dungeons & Dragons. Meno bene riesce a  giocare a pallacanestro e ad andare in bicicletta, il che non gli  impedisce di trarre godimento da entrambe le attività. È sposato con  Raffaella e vive tra i colli piacentini e Milano.

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