Ostaggi di un carceriere

Per il filone relativo “essere ostaggi di … ” mi piaceva parlare di una tipologia molto comune di prigione psicologica: quella nei confronti di altre persone. In passatolo avevo in realtà sorvolato questo argomento. Oggi ne parliamo in modo …Leggi tutto

Per il filone relativo “essere ostaggi di … ” mi piaceva parlare di una tipologia molto comune di prigione psicologica: quella nei confronti di altre persone. In passatolo avevo in realtà sorvolato questo argomento. Oggi ne parliamo in modo più approfondito e pragmatico.

Il nostro carceriere può essere chiunque: un amico, un collega,il capo, il nostro personale mobber, il partner ecc. Chiunque è in contatto con noi è un potenziale secondino.

Come al solito la tendenza iniziale è quella di condannare il carceriere di turno, ma ciò è un grande errore. Non si tratta di una prigionia coatta perché la nostra detenzione è frutto di una scelta! Noi, anche se non ce ne accorgiamo, scegliamo di essere ostaggi.

Da quali elementi possiamo renderci conto che siamo ostaggi di qualcuno?

Anzitutto uno dei primi sintomi è la difficoltà a prendere le distanze dal nostro carceriere. Ci lamentiamo, crepitiamo e magari piangiamo … ma alla fine rimane sempre una persona presente (anche troppo) nella nostra vita!

Un altro sintomo è quello relativo al potere che questa persona ha su di noi. Il soggetto in questione riesce facilmente a farci vivere sensazioni negative e spiacevoli. Potremmo sentirci ad esempio frustrati, in soggezione, irritati o anche spaventati. In altre parole questa persona ci fa vivere molto spesso sensazioni brutte.

Un altro aspetto della nostra dipendenza potrebbe essere costituito dalla presenza di atteggiamenti gratificanti rivolti verso di noi da parte del nostro carnefice. Le gratificazioni infatti si alternano magistralmente a comportamenti squalificanti. Se prevalentemente il nostro carceriere ci fa spesso girare le scatole, in altri casi ci dà emozioni piacevoli. Potrebbe per esempio mostrarsi a tratti complice, amichevole o addirittura seduttivo. Il tutto occasionalmente … o magari quando siamo realmente intenzionati a scappare via.

Una volta “ostaggi di qualcuno” viviamo un cronico senso di insoddisfazione. Ci sentiamo a posto solo quando riceviamo il nostro contentino psicologico. Il tutto in una dinamica a spirale che ci rende dipendenti dal nostro personale carceriere.

In psicologia questo attaccamento viene definito “sindrome di Stoccolma”. La realtà è che chiunque di noi può cadere vittima di questo meccanismo … e uscirne non è la cosa più facile del mondo … anzi !

Siamo nell’epoca in cui c’è una “tecnica” per tutto e quindi … c’è la ricetta per sbloccare questo meccanismo? Per renderci liberi da questi stronzi? Ovviamente … no! Ma ciò non impedirà (a chi vuole uscirne) di staccarsi da questa seducente gabbia.

Anzitutto siete a conoscenza del meccanismo … e questo è già un buon inizio! Una modalità che renderà il distacco più agevole sarà la presenza di una “base sicura”. Una persona positiva (un amico, un professionista ecc.) che ci monitorerà e ci supporterà in modo sincero e disinteressato in questa fase particolare e delicata.

Adesso qualche suggerimento pratico per liberarsi da questa dinamica tossica:

- Se fallite ricascando nell’inghippo non significa che dovete abbandonare ogni speranza. Perseverate, perseverate, perseverate!

- Se tendete a rimandare significa che probabilmente il distacco è come la dieta del lunedì … non avete il coraggio di ammettere che ve la fate sotto. Le paure sono fatte per essere affrontate. Coraggio!

- Non raccontatevi storie su come questa persona cambierà o il vostro rapporto diventerà idilliaco. Difficilmente diventerete la famiglia della serie “ la casa nella prateria”.

- Quando sarete distaccati avrete la tentazione di tornare indietro. E’ normale, è un meccanismo molto simile a quello di una crisi di astinenza da sostanze. Non cedete!

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Matteo Marini